Le terrazze sostenute da muri a secco si inerpicano sulla schiena della collina, mentre il bosco abbraccia fazzoletti di terra dove un lavoro paziente sta restituendo la fertilità ad un suolo che stato abbandonato per quarant’anni. 

Il nome, “La Scoscesa”, racconta la morfologia di una terra dove l’agricoltura convenzionale altamente meccanizzata non può che arrendersi. Fattoria nel cuore del Chianti, “La Scoscesa” è nata dalla visione di Lorenzo Costa che ne ha studiato paesaggio, clima, sole e composizione del suolo per dar vita ad un progetto di permacultura dove la rigenerazione dei terreni diventa la chiave per costruire un’agricoltura resiliente. Capace, dunque, di riadattarsi e resistere all’urto anche di uno shock come quello vissuto durante i mesi di lockdown.  

Centoventi metri di dislivello, nove ettari, di cui cinque di bosco. E poi arbusti, olivi, ginepri, in futuro un annesso agricolo per la trasformazione ed una casa in legno e paglia con intonaco in terra cruda, tutto “off-grid”, alimentato dal sole che, nonostante i limiti del fotovoltaico, consente di usare “l’energia in base alle reali necessità”, senza sprechi. 

“La permacultura è un sistema di progettazione, non un sistema agricolo. E’ basato su tre etiche: la cura della terra, la cura delle persone, la cura del futuro”, spiega Costa. “[E’ la progettazione] di ecosistemi sostenibili, resilienti, efficienti e permanenti. Più che sostenibili, oggi, la cosa che dovremmo dire è rigenerativi”, aggiunge.  

Rigenerare per costruire la resilienza

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La rigenerazione inizia studiando ciò che l’ambiente può offrire. “Innanzitutto partendo dall’analisi del paesaggio: l’esposizione, i tipi di microclimi, l’acqua, come il sole arriva sul terreno, che passaggio ha durante l’anno, come puoi sfruttare le diverse esposizioni”. 

L’acqua è un elemento chiave. In collina, poi, la pioggia genera erosione e strappa al suolo le sostanze che lo nutrono. Per questa ragione a “La Scoscesa” è stato disegnato un sistema di bacini, in continua evoluzione, che consente di raccogliere l’acqua piovana. “Non sono impermeabilizzati, non ho creato dei laghetti da cui posso annaffiare, ma delle raccolte d’acqua che vanno dai 16 mila ai mille litri, variano in base al suolo e a quello che consente la morfologia, e servono per reidratare il bosco”.  Dal 2018, sono stati captati più di 700 mila litri d’acqua che sarebbero scivolati via sul terreno ed invece sono tornati nella falda acquifera. “Uno di questi bacini sta cominciando ad impermeabilizzare [naturalmente] perché è stato scavato su una vena di argilla …. Si creeranno anche sistemi acquatici permanenti”, spiega Costa. 

Una visione che punta alla completa autonomia da input esterni, inclusi semi e fertilizzanti, e a valorizzare le naturali potenzialità delle piante. E’ così che si privilegiano le perenni, si scelgono asparagi che fanno le bacche o si sfrutta la naturale abilità del cavolo nero, giacimento della gastronomia toscana, di vivere assai più che una stagione: “Molti agricoltori lo mettano giù tutti gli anni, in realtà io ho una pianta di cavolo nero da cinque anni. Diviene legnoso il tronco, sarà alta ottanta-novanta centimetri e si può continuare a raccoglierne le foglie. La pianta cambia, il tipo di foglia è diverso da quello che si trova al supermercato, nella grande distribuzione: non hai quelle foglie lunghe trenta-quaranta centimetri, ma sono foglie buonissime, non cambia nulla”, spiega Costa. “Si tratta di giocare su quella che è una potenzialità della pianta … Le Brassicacee si possono rendere perenni … Perché investire ogni anno e buttare via soldi?”. 

Piccole produzioni, ma diversificate

Un’agricoltura resiliente è anche un’agricoltura diversificata. Verdure dell’orto, asparagi, patate, ceci, lenticchie, aglio, zafferano, carciofi, fiori commestibili, piccole quantità ma di tante cose. “Semino venti, trenta chili di ceci; venti, trenta chili di semina di lenticchie. Non vengono delle quantità esorbitanti, però è qualcosa che localmente riesco a vendere alle famiglie, che ne riconoscono la qualità”.  E’ la diversificazione che consente di portare sempre prodotti sul mercato, a dispetto di stagioni più o meno ricche, o di emergenze come la pandemia di COVID-19.

La permacultura è assai più che piantare un seme, è sfruttare le nicchie ecologiche, creare “connessioni”. Ed ecco che il bosco o il suo margine lungo le strade, e non più il campo o una serra, diventano il luogo dove coltivare uva spina, ribes rosso, more, tanti tipi diversi di lamponi: “Ho dovuto trovare tutta una serie di varietà che sono un pò’ più antiche, ma non perchè è ganzo l’antico, ma perchè sono varietà che non sono state selezionate per stare al sole, perché i frutti di bosco, come dice il nome, dovrebbero stare nel bosco o sul margine”.  A “La Scoscesa” si lavora con più di quattrocento piante di varietà diverse di tali bacche preziose, ma anche con gli alberi da frutto, ed ecco mandorle, albicocche, ciliegie, pesche, prugne, noci, nocciole, fichi, gelsi: “Anche qui, è stata [importante] l’analisi del paesaggio. Il Chianti, che oggi è famoso solo per il vino, era famoso per le albicocche, per i fichi e per le mandorle. Perchè non ho messo le mele? Perchè devo mettere le mele nel Chianti? E poi, il ginepro porta la ruggine delle mele e quindi dovrei fare trattamenti o espiantare un [arbusto] che è tipico di qui”, spiega Costa. 

La diversificazione produttiva che caratterizza “La Scoscesa” ha consentito all’azienda di riadattarsi ad un mercato stravolto dal lockdown, quando, venuta meno la principale fonte di reddito – i ristoranti della zona – sono state le famiglie ad richiederne i prodotti. “[Diversificare] vuol dire avere magari venti prodotti diversi la cui possibilità di reddito è singolarmente piccola, ma che sommati diventano [significativi] … Non ho un mercato unico che se crolla sono messo male, non ho un prodotto unico che se cambia il cima sono messo male: se mi vengono a mancare quattro prodotti, faccio in tempo ad averne altri sedici nell’anno che mi danno la possibilità di non andare a  gambe all’aria, ma di poi ridattarmi. La resilienza sta in questo, che vivi un momento di grossa difficoltà, ma il tuo sistema si adatta velocemente”, spiega Costa.  Una capacità che è mancata a molte filiere, come quella delle monocolture di asparagi, che durante l’emergenza ha sofferto la mancanza di manodopera nei campi proprio durante la stagione del raccolto, vedendo andare in fumo il reddito di un intero anno. 

“La resa? Nei due ettari e mezzo che uso, posso dare un’attenzione maggiore [alla produzione] e posso piantare molto di più. Per ettaro produco molto più di quanto fa uno che [coltiva] solo grano … ”, sottolinea Costa. 

Un’altra opportunità è quella offerta dalla trasformazione: “Tante aziende non hanno il laboratorio di trasformazione e devono andare per conto terzi.  Oggigiorno, in questa situazione [di lockdown], per esempio, molti laboratori sono chiusi. Se hai un prodotto deperibile, come lo trasformi?”, aggiunge. 

Un lavoro di progettazione impegnativo e un lavoro quotidiano complesso, ma un sistema progettato con la permacultura, spiega Costa, “arriva ad un punto tale di fertilità che permette di lavorare meno in cicli di anni, perchè non stai lavorando sul prodotto, ma sulla fertilità. All’inizio il lavoro è tantissimo, piantare i carciofi o gli asparagi, ma poi una carciofaia dura dieci anni, una asparagiaia, venti anni  …”.  

Ma produrre cibo non è esaurisce la funzione di un’azienda agricola, nella visione di Lorenzo: è la bellezza la chiave di volta.  “Un’azienda agricola non è funzionale solo alla produzione, è funzionale al fatto che quello è un luogo dove vengono le persone della frazione dove è ubicata La Scoscesa.  Chi viene a passeggio mi chiede cosa faccio, visita, lo trova bello. E infatti lavoriamo tanto anche con i fiori ed i colori. …  aiuole che hanno una funzione per il suolo, per le piante dell’orto, ma hanno anche una funzione estetica. La bellezza fa parte della nostra vita ….”, spiega.